Le Creature dell'Ignoto...

Fantasma


Il fantasma (chiamato anche spettro o larva dal latino Larius) è un'entità delle leggende e del folclore. Ci si riferisce ad esso come ad una presenza incorporea, spesso caratterizzata da alcuni elementi (avvolta in un sudariooppure senza testa, contornata da una certa luminescenza o che produce un rumore di catene). Del pari anche le circostanze delle apparizioni sono caratterizzate da elementi ricorrenti quali l'ora notturna, i luoghi lugubri e isolati, ecc.
Il vocabolo fantasma, dal greco antico phantasma a sua volta da phantazo (passivo e medio phantazomai : "io appaio"), aveva il significato di apparizione (intesa come manifestazione soprannaturale) e solo con il tempo il suo significato si è ristretto ad indicare l'apparizione di un defunto. Il fantasma è una figura ricorrente nella tradizione popolare e letteraria, praticamente di tutte le civiltà. Nella tradizione orientale e in quella greca e romanal'apparizione dei fantasmi non è associata al sentimento della paura.
Il fantasma è un tipico personaggio della letteratura fantastica e dell'orrore. Un esempio celebre si trova nell'Amleto di William Shakespeare. Nei racconti horror i fantasmi infestano di frequente vecchi castelli o antiche magioni. Neiracconti per bambini, il fantasma può assumere un ruolo positivo.

Per quanto riguarda le apparizioni e i fenomeni ad esse relativi,si fa riferimento,quasi sempre,ad avvenimenti tragici che,in qualche modo,sembrano aver intrappolato l'anima del defunto in una dimensione ideale extraterrena,che allo stesso tempo risulta essere lontana anche dalla dimensione nella quale la nostra fantasia o immaginazione osa collocarli,ovvero quella dell'aldilà.
L'uomo ha sempre creduto,in maniera conscia,inconscia o addirittura involontaria(poichè è comunque radicata nell'essere e nella cultura in generale)che la vita terrena,esalato l'ultimo respiro, abbia un seguito e che questo sia buio o luminoso è la nostra anima che risulta il tramite tra noi e il mondo(o la dimensione) sconosciuto/a: A questo punto le diversità delle varie credenze e religioni convergono tutte quante in un unico "punto nevralgico" ovvero che l'anima continui ad esistere.
Ora,collegandoci al cenno precedentemente delineato, gli avvenimenti che danno l'incipit a tali manifestazioni possono essere ricondotti ad episodi di carattere truculento(spesso sanguinario) quali efferati omicidi o comunque orribili morti,perciò (quasi ogni tipo di credenza concorda con questo)il collante tra le dimensioni,cioè l'anima,subisce "danni" a noi assolutamente non noti che la "intrappolano" in una ipotetica condizione che risulta quella spettrale(a volte lo spettro stesso è conscio di essa e a volte no).
Allora il fantasma,spettro,poltergaist o memoria del luogo,appare in una altissima percentuale di casi,basandoci su testimonianze diverse ma simili allo stesso tempo,nei medesimi orari,posti e addirittura compiendo medesime azioni che stava per o aveva compiuto o ancora non ha fatto in tempo a compiere,collegati per gli stessi fattori alla sua violenta scomparsa terrena.
Come nuovamente accennato quello che varia,asserendo alle antecedenti definizioni è la forma,l'intensità e se possiamo chiamarlo cosi il motivo del presentarsi del fenomeno;è cosi che ognuno di essi assume quadri o disegni diversi come è diversa appunto la "memoria del luogo",riconducibile ad azioni care in vita al soggetto che col presentarsi di determinate circostanze(data-ora-condizioni climatiche) si ripetono in una "quasi processione" dell'individuo,rispetto al "poltergaist",fenomeno alquanto più spaventoso,angosciante e aberrante del precedente(quest'ultimo del tutto innocuo),a volte addirittura demoniaco.
Per quanto riguarda poi il contatto visivo,auditivo e a volte tattile dell'uomo con i fantasmi,sin dai tempi più antichi le testimonianze e la cultura radicata narrano di persone (che questo sia reale o meno sta al giudizio del lettore)che vantavano una certa spigliatezza nel trattare con essi,date le circostanze che sin dall'infanzia ne hanno disposto,a loro dire l'avvicinamento, chiamati medium o mediatori, proprio per il fatto del loro "mediare" con queste entità. Come già detto la loro propensione al "dialogo" con gli spiriti può essere varia: ascoltarli,vederli,sognarli,toccarli,parlarci sono tutte azioni che il medium svolge,naturalmente non tutte insieme, ma prese singolarmente determinano il "dono" che un individuo può avere.
Le sedute spiritiche sono il campo di gioco e gli strumenti sono per lo più degli alfabeti con un indicatore per vocali e consonanti(ma anche candele,tavolini ecc..) con i quali il fantasma comunica una lettera alla volta con i presenti,che a loro volta domandano a voce, formando frasi di senso compito o astratte che siano,che compongono il messaggio che lo spirito intende recapitare.
Concludendo,ogni cultura ha avuto medium o stregoni,uomini e donne che hanno avuto ,secondo loro, il dono di poter comunicare con l'aldilà e queto è arrivato sin ai nostri giorni e continuerà ad essere radicato e a sopravvivere accanto all'uomo.
abbinato a Poltergeist,Infestazione,Banshee,Buchi spaziotemporali,Lo spiritismo...
Le Banshee 
La figura della Banshee è sempre stata considerata un presagio di sventura, in quanto si dice, che chi ne ascoltasse il lamentoso canto, avrebbe presto avuto una perdita nella propria famiglia.
Il termine Banshee è la forma anglicizzata dell'irlandese Beansì(d), che significa "donna del Sidhe", cioè "donna del colle delle fate".
In alcune zone d'Irlanda viene chiamata "ban caointe" (la piangente) oppure "badhbh caointe" (Badb che piange) in chiaro collegamento con la dea corvo precristiana Badb.


La vera storia delle Banshee

La Banshee è una creatura che può apparire come una splendida ragazza, come una donna matura o come una vecchina minuta (cioè nei tre aspetti della Dea); può essere vestita di bianco o di rosso (colori dell'aldilà per i Celti), con lunghissimi e bellissimi capelli (bianchi, castani, rossi o dorati) che ama pettinare con un pettine d'oro o d'argento.
Non esiste una sola Banshee, ma ne esistono molte, almeno tante quante le località d'Irlanda: ognuna si cura di proteggere le famiglie che vi abitano, ed in particolare la famiglia del capoclan o del nobilr irlandese che governa quel luogo.
La tradizione narra che inizialmente le Banshee potevano piangere solo per le cinque principali famiglie irlandesi: gli O'Neills, gli O'Briens, gli O'Connors, gli O'Gradys ed i Kavanaghs. Ma ovviamente i matrimoni con altre famiglie hanno portato ad ampliare notevolmente questa lista esclusiva.

La Banshee controlla i componenti della "sua" famiglia anche quando essi emigrano: alcune famiglie dicono di averla sentita urlare di notte annunciando la morte di un parente emigrato in America o in Australia.
Quindi la Banshee non urla per crudeltà, ma urla per disperazione.
I suoi urli sono noti sotto il termine di "keening" (dal gelico Caoineadh = lamento), ed il sentirli è segno di nobiltà, perchè la Banshee avverte soltanto i componenti delle più nobili famiglie che possono vantare il più antico lignaggio celtico. La Banshee è così affezionata alla propria famiglia che la notte prima della morte di uno dei suoi componenti ne percepisce il triste destino ed incomincia a piangere emettendo un lamento lugubre, capace in alcuni casi di fare rizzare i capelli agli umani e di portarli alla disperazione, che si ripete tre volte o può durare tutta la notte.

Dopo le espropriazioni terriere inglesi ai danni degli irlandesi, le Banshee restarono fedeli ai nobili irlandesi, anche se questi non erano più i proprietari della terra, e ancora nel 1980 ben 146 famiglie irlandesi si dicevano protette da una Banshee.

La Banshee ha un corrispondente maschile nel meno comune Far Shee (in irlandese Fear Sidhe). 




Vampiro

 Il vampiro è un essere mitologico o folkloristico che sopravvive nutrendosi dell'essenza vitale (generalmente sotto forma di sangue) di altre creature, nonché una delle figure dominanti del genere horror.
Nonostante la speculazione sostenuta dallo storico letterario Brian Frost secondo la quale la credenza dei vampiri "potrebbe risalire alla preistoria", il termine vampiro divenne popolare solo agli inizi del XVIII secolo, in seguito all'influenza delle superstizioni presenti nell'Europa dell'est e nei Balcani, dove le leggende sui vampiri erano molto frequenti . Allo stesso tempo, nacquero altri termini, come vrykolakas in Grecia e strigoi in Romania. La superstizione nei confronti dei vampiri crebbe a tal punto da far nascere una grave isteria collettiva che portò alla morte di numerose persone accusate di vampirismo.I folkloristici vampiri dell'Europa dell'est presentavano una notevole varietà di rappresentazioni, dal simile agli umani al cadavere putrefatto. Fu il successo del romanzo Il vampiro di John Polidori (1819) ad instaurare la carismatica e sofisticata figura del vampiro nelle arti che influenzò le opere vampiresche del XIX secolo e ispirò personaggi come Varney il vampiro e il Conte Dracula.È però il romanzo Dracula, scritto nel 1897 da Bram Stoker, ad essere considerato la quintessenza del romanzo vampiresco e che fornì le basi per le opere moderne. Dracula trattò una mitologia costituita da lupi mannari e altri demonidando voce "allo stato d'ansia di un'epoca" e "alla paura della società patriarcale vittoriana"[10]. Il successo di questo libro fece nascere un distintivo genere vampiresco che è ancora popolare nel XXI secolo, con un'impressionante collezione dilibrifilmvideogiochi e serie televisive.

I Vampiri nel occultismo

Affinché si possa condurre uno studio scevro di pregiudizi circa i vampiri, è innanzitutto necessario spazzare via dalla propria mente il concetto che essi facciano parte di antiche superstizioni o che siano nati dalla fantasia degli scrittori. I vampiri sono sempre esistiti ed esistono tuttora. Già all'interno di necropoli preistoriche sono stati rinvenuti cadaveri che recano delle pietre piantate nel corpo, ciò fa supporre la credenza in quei popoli che taluni individui potessero tornare dall'aldilà qualora non venissero uccisi secondo un ben preciso rituale.
Che la tradizione dei vampiri tragga origine dalla vita del conte Vlad Tepes (1430-1476), detto l'impalatore, a cui il romanziere Bram Stoker si sarebbe ispirato per la sua opera "Dracula" (1897), rappresenta quindi una grossolana falsità. Su alcune iscrizioni tombali persiane risalenti al 2300 a.C. è raffigurato un uomo che lotta contro un mostro intenzionato a succhiargli il sangue. La stessa tipologia di reperti compare già nel VII secolo a.C. anche in Cina, Assiria, presso i Maya, gli Indiani, i Polinesiani ed anche presso i discendenti dei Vichinghi. Le coincidenze tra le svariate testimonianze di popolazioni così distanti e diverse tra loro per cultura e credenze religiose dovrebbero far riflettere anche quegli studiosi intellettualmente microdotati che di norma affrontano l'argomento negando l'esistenza effettiva del fenomeno.
È possibile studiare i vampiri solo se si posseggono le corrette informazioni di matrice occulta riguardanti il corpo astrale e la vita dell'individuo dopo la morte. Si noti per inciso che l'irlandese Bram Stoker, occultista di una certa fama, era affiliato alla Golden Dawn (tale affiliazione è segnalata ne "Il mattino dei maghi", di Pauwels e Bergier), società esoterica di cui fecero parte molti personaggi in vista del tempo, tra cui ricordiamo il poeta simbolista William Butler Yeats, il Gran Maestro Samuel Liddel Mathers (meglio conosciuto come Mc Gregor Mathers), Arthur Machen, Thomas S. Elliot, Algernon Blackwood, Rudyard Kipling... e il noto mago/occultista Aleister Crowley, che negli anni successivi avrebbe riportato in auge la magia cerimoniale.
Stoker possedeva dunque il genere di conoscenze indispensabili al fine di trattare l'argomento secondo il rigore delle scienze occulte. Compì inoltre una meticolosa ricerca sulle leggende e le antiche tradizioni popolari, e infine si ispirò alla figura del conte Vlad per ammantare di nobiltà e di storicità il suo personaggio, ma pare che tale conte nulla avesse a che vedere col fenomeno del vampirismo.

I vampiri nella storia e nascosti nella nostra società

Dai primi miti greco-romani, probabilmente influenzati da miti più antichi provenientidall'Oriente, la leggenda del vampiro si è diffusa nell'Europa dell'Est e da qui in tutto l'Occidente. Questa, però, si rivelò molto più di una semplice leggenda, ma una vera e propria epidemia, che venne documentata fin dal Seicento. Si parte dal 1672 in Istria con il vampiro Giure Grando di Coriddigo, quindi in Grecia (1701), Prussia Orientale (1710 e 1721), Ungheria (1725-30), Serbia (1725-32), Slesia (1755), Valacchia (1756), Russia (1772) e via discorrendo.

In ognuno di questi casi, gli inquisitori produssero una vasta e dettagliata documentazione, in cui venivano descritte esumazioni di cadaveri, che presentavano crescita di capelli e unghie dopo la morte, colorito acceso e che emettevano urla strazianti e inumane una volta che veniva tagliata loro la testa e infilato un paletto nel cuore, il tutto rilasciando dalle ferite così inferte fiotti di sangue fresco (per chiunque abbia una minima base di tanatologia sarà facile riconoscere i classici segni della decomposizione, infatti la crescita di capelli, unghie e denti è dovuta al ritiro dei tessuti, così come il fluido rosso, erroneamente scambiato per sangue, non è nient'altro che un classico prodotto provocato dalla decomposizione degli organi interni, per quanto riguarda la temperatura elevata dei liquidi putrescenti invece, si deve sapere che durante il processo post-mortem di "digestione batterica" viene prodotto calore).

Molte furono le personalità che si occuparono di vampiri, ottenendo, a buon diritto, il titolo di vampirologi (Don Augustin Calmet, Collin De Plancy, Montague Summers), ma la summa sull'argomento è un'opera di oltre 900 pagine redatta dall'abate Augustin Calmet, Dissertation sur les Apparitions des anges, des démons e des esprits et sur les revenants et vampires de Hongrie. Calmet raccolse nel suo tomo tutte le testimonianze e le leggende sui vampiri (denominati revenants, spettri che ritornano), cercando anche di dare spiegazioni razionali ai fenomeni: morti apparenti, differenti gradi di decomposizione, e altre ancora.

La spiegazione che però l'abate proponeva più spesso era quella soprannaturale: i vampiri erano, infatti, considerati da Calmet dei veri e propri demoni, che conservavano dopo la morte una vera esistenza. Essi erano in grado di uscire dalle bare attraverso dei fori praticati sulla bara, probabilmente smaterializzandosi e rimaterializzandosi, e quindi andavano tra i vivi in caccia del sangue necessario per proseguire la loro immonda esistenza. A questa maledizione ci si poteva opporre solo con la Magia Postuma, dal titolo di un trattato del 1706 di Ferdinand De Schertz: come già descritto, consisteva nel mutilare ed aggredire il cadavere del sospetto vampiro tramite la decapitazione e la distruzione del suo cuore.

Questa pratica imperversò un po' in tutta Europa e solo nel 1755 si ebbe un freno grazie all'imperatrice Maria Teresa che con una legge imperiale ne impedì l'applicazione nei territori da lei retti: già questo semplice divieto fece terminare le epidemie di vampirismo. I vampiri, però, continuarono ad essere oggetto dell'attenzione del popolo: nel 1816, ad esempio, Prosper Mérimée, l'autore di Carmen, fu testimone di un caso di vampirismo in Serbia, assistendo all'esumazione e alla distruzione del cadavere, mentre nel 1909, in Transilvania, venne dato alle fiamme il castello di un altro vampiro.

Il Vampiro è una figura tipica di una letteratura tendente al macabro, talvolta perfino al grottesco.
Com'è stato già accennato, le sue origini risalgono a credenze molto antiche, avendo alle sue spalle anche una solida tradizione orientale (per esempio nelle Mille e una notte), ma può essere vista anche come una figura romantica, affine all'amante fatale del primo Ottocento.

Il Vampiro spesso viene definito come un mito di transizione e di metamorfosi, è sempre stato paragonato ad animali ritenuti dai bestiari di malaugurio e diabolici, come il serpente, il lupo e il pipistrello.
Rappresenta inoltre l'ancestrale paura della morte e il suo mistero.

Egli succhia il sangue perché ritenuto sede dell'anima, risalendo quindi all'antica credenza, secondo la quale, mangiando parti del corpo di un uomo, ci s'impossessava delle sue qualità e del suo spirito; perciò il vampirismo potrebbe essere visto anche come estrema sublimazione dei riti cannibalistici.
Le caratteristiche che accomunano i racconti sui vampiri sono svariate.

Troviamo sempre la presenza di un testimone, che è un narratore inizialmente estraneo alla storia, ma che ne viene gradualmente attratto, in modo da poter osservare ogni evento e raccontarlo a sua volta, attraverso un'operazione di esorcizzazione dell'occulto, ma anche sua perpetuazione.

La letteratura fantastica, infatti tende sempre a mescolare reale e immaginario, per tentare di dimostrare la verità degli eventi soprannaturali, con una grande attenzione alla documentazione (lettere, diari, telegrammi, registrazioni, articoli giornalistici) che costituisce la struttura narrativa di molte storie sui vampiri.3
Inoltre il Vampiro può essere indifferentemente uomo o donna, con una certa tendenza, notata da Praz, nel preferire la figura maschile nel primo Ottocento (sotto l'influsso dell'uomo fatale byronico), mentre nella seconda parte del secolo si può notare una predilezione per un vampirismo femminile (dovuta a una visione morbosa della sessualità femminile).4

La fortuna del vampirismo, dall'Ottocento ai giorni nostri, si potrebbe accreditare alla possibilità dell'autore di dire, attraverso questa metafora, ciò che è indicibile.

Diversi sono quindi i volti oscuri del reale che esso può rivelarci.

1. Vampirismo come espressione della libido repressa.

Se è vero che, come afferma Freud, il perturbante è l'espressione degli impulsi repressi, il Nosferatu ne è sicuramente l'esempio più lampante.

Il Vampiro può essere definito quindi come il Diavolo che risiede dentro di noi, l'Es contrapposto all'Io.

Nella maggior parte dei casi predomina l'allusione al rapporto eterosessuale, anche se esiste un chiaro riferimento al legame omosessuale in Carmilla di Le Fanu ed un tentativo, in Dracula di Stoker, da parte del Vampiro di instaurare un rapporto omoerotico, anche se di breve durata.
Il simbolo sessuale può essere trovato nel Vampiro stesso; ha caratteristiche fortemente umane, proprie del libertino ed, essendo uno spirito che "entra" e "possiede", ha evidenti caratteri fallici.5

Egli è quindi il seduttore, l'affascinatore, l'ipnotizzatore, non gli si può resistere a meno che non si abbia la volontà di tenere lontane le tentazioni (per poter entrare in una casa, deve essere chiamato da qualcuno).
La sua seduzione implica quindi il consenso della vittima: essa infatti, nel momento in cui il Vampiro le affonda i denti nella gola (momento dell'"amplesso"), prova un piacere molto intenso, in cui è facile notare l'allusione all'orgasmo.
Quindi la figura del Vampiro e la sua torbida carica erotica possono essere viste come strumento d'inconscia ribellione ed esternazione dell'istinto sessuale che, nell'epoca vittoriana, era particolarmente represso.

A sua volta la donna-vampiro è ancor più inquietante per la morale dell'epoca, a causa delle sue caratteristiche lesbiche che mettono in pericolo l'ideale della donna sposa e madre.

2. Vampiro come frutto di un complesso infantile.

Il Vampiro è stato curiosamente accostato, da Giovanna Silvani, al bambino che succhia il latte materno (rifacendosi quindi alla fase orale freudiana).6
Quando al bambino viene negato il seno della madre, in questo divieto non vede solo un torto subito, ma anche una punizione per qualche trasgressione commessa.

Scatta quindi un meccanismo per cui la psiche umana, se privata dell'oggetto del desiderio, reagisce con una forte aggressività e con un altrettanto forte senso di colpa; e siccome per una mente primitiva, come per una mente infantile, un crimine deve essere punito nella stessa maniera in cui è stato commesso, nasce la figura del Vampiro come frutto del senso di colpa, della paura di punizione e di persecuzione.

Da ciò deriva un meccanismo di aggressione/difesa, di punizione/autopunizione che porta alla decomposizione della personalità; la parte aggressiva da rimuovere sarà dunque il mostro.

3. Vampiro come paura della morte.

Il mostro rappresenta sempre l'inconscio, dove albergano le pulsioni di morte e gli istinti aggressivi.
Perciò diventa il simbolo stesso della propria morte e, per questo motivo, deve essere rimosso per esorcizzare la paura di essa.
Questa funzione è rivestita dalla figura del Vampiro come colui che non muore con la vittima, anzi vive grazie alla sua morte; si può sfuggirgli solo seguendo dei rituali ancestrali (mozzandogli la testa, trafiggendogli il cuore con un paletto).

Il Nosferatu racchiude quindi in sé l'inaccettabilità di una morte completa e il desiderio di voluttà che va oltre la vita.

In questo modo esso diviene il custode segreto dell'immortalità, anche a costo della dannazione eterna; rappresenta il nostro istinto di sopravvivenza, il voler sfuggire dal non-essere.


4. Vampiro come riflesso dei conflitti sociali.

Il Vampiro simboleggia per tutto l'Ottocento la classe aristocratica che sta perdendo il suo antico splendore, a causa dell'avanzare della società borghese.
Il fatto di nutrirsi di sangue acquista anche il significato del cosìdetto "privilegio di sangue" di un'antica stirpe che garantisce il potere.
Diviene quindi rappresentante di una classe che sembra morta, ma che minaccia sempre di risorgere per sovvertire la modernità.
Il Vampiro è quindi l'anti-borghese per eccellenza, fa riaffiorare quelle angosce che il nuovo ceto emergente non riesce ad esorcizzare.7

Nel Dracula di Bram Stoker però l'elemento aristocratico mantiene la sua forza solo nel proprio ambiente (la selvaggia Transilvania), mentre nel momento in cui si trova davanti alla modernità (la metropoli di Londra) ne viene respinto ed espulso.
Nella nostra epoca invece esso frequentemente rispecchia le frustrazioni di classi oppresse da una società a loro aliena e percepita come ingiusta.
In particolare è da notare, nelle Notti di Salem di Stephen King, come il Vampiro sia di estrazione alto borghese, simile a un capitalista che sa sfruttare il malessere altrui per il proprio tornaconto.



5. Vampiro come metafora dello scrittore.

Uno degli aspetti di questa figura forse più interessanti è quello più prettamente metaletterario.
Il vampirismo sarebbe quindi una metafora della letteratura, in cui ogni scrittore nuovo deve annientare il suo precursore "per non esserne vampirizzato" e non cedere così alla sua influenza.
Quindi i libri che si "nutrono delle citazioni di altri libri e del sangue del lettore" sono come vampiri che necessitano di "una nuova linfa per rimanere in vita".8

Ne' Il libro dei vampiri Fabio Giovannini inoltre afferma che lo scrittore è come un vampiro, il quale, attraverso la sua opera, "contagia con i suoi pensieri i pensieri degli esseri umani"; anche in questo caso però il rapporto che si crea tra il "vampiro" e la sua "vittima" è molto ambiguo, poiché anche lo "scrittore vampiro è stato a sua vota vampirizzato a suo tempo", attraverso gli scritti di altri autori, perché egli è pur sempre un lettore.

In questo modo i libri nascono come prodotto di altre opere, cioè sono "frutto di altre vampirizzazioni".


Licantropo

 Il licantropo (dal greco λύκος (lýkos), "lupo" e ἄνθρωπος (ànthropos), "uomo"), detto anche uomo-lupo o lupo mannaro, è una dellecreature mostruose della mitologia e del folclore poi divenute tipiche della letteratura horror e successivamente del cinema horror.

Secondo la leggenda, il licantropo è un uomo condannato da una maledizione a trasformarsi in una bestia feroce ad ogni plenilunio: la forma di cui si racconta più spesso è quella del lupo, ma in determinate culture prevalgono l'orso o il gatto selvatico (si veda in seguito). Nella narrativa e nella cinematografia horror sono stati aggiunti altri elementi che invece mancavano nella tradizione popolare, quali il fatto che lo si può uccidere solo con un'arma d'argento, oppure che il licantropo trasmetta la propria condizione ad un altro essere umano dopo averlo morso. Alcuni credevano che uccidendo il lupo prima della prima trasformazione la maledizione veniva infranta. Altre volte, invece, per "licantropo" non si intende il lupo mannaro: quest'ultimo infatti, si trasformerebbe contro la propria volontà, mentre il licantropo si potrebbe trasformare ogni volta che lo desidera e senza perdere la ragione (la componente umana).Il lupo è stato un animale soggetto ad un radicale processo di demonizzazione e successiva rivalutazione, dimostrando la sua intima connessione all'immaginario umano. Il lupo è un simbolo ambivalente: amato per gli stessi pregi che hanno fatto dei suoi discendenti l'animale domestico per eccellenza, invocato nei riti sciamanici come guida sul terreno di caccia, ammirato per la forza e l'astuzia, addomesticato per diventare un alleato, ma poi cacciato per impedirgli di predare le greggi e infine addirittura demonizzato durante ilMedioevo.


Il modo di considerare il lupo muta, in maniera piuttosto brusca e radicale, col passaggio dell'uomo dal nomadismo, basato sulla caccia, alla cultura stanziale ed agricola. Il cacciatore ha bisogno della forza dell'animale totemico e del predatore, che lo può portare a scovare e a uccidere la preda, e il lupo è il predatore per eccellenza. Per i cacciatori nomadi delle steppe dell'Asia centrale era rappresentativo della tribù e suo protettore. L'agricoltore, invece, ha un rapporto radicalmente diverso con esso: il lupo diviene minaccia per le greggi ma, contemporaneamente, i suoi cuccioli, debitamente addestrati, possono divenire preziosi alleati contro i loro stessi simili.
Il mito dell'uomo che si trasforma in lupo o viceversa è antico e presente in molte culture. I miti che riguardano la figura del lupo hanno origine, con buona probabilità, nella primaetà del bronzo, quando le migrazioni delle tribù nomadi indoariane le portarono in contatto con le popolazioni stanziali europee. Il substrato di religioni e miti "lunari" e femminili degli antichi europei si innestò nel complesso delle religioni "solari" e maschili dei nuovi arrivati, dando vita ai miti delle origini, in cui spesso il lupo è protagonista. La sovrapposizione tra i culti solari della caccia e quelli lunari della fertilità si riscontra nei miti che vedono il lupo come animale propiziatore della fecondazione. In Anatolia, fino ad epoca contemporanea, le donne sterili invocavano il lupo per avere figli. In Kamčatka, i contadini, nelle feste ottobrali, realizzavano con il fieno il simulacro di un lupo a cui recavano voti, perché le ragazze in età da marito si sposassero entro l'anno. Questo intimo legame, nel bene e nel male, tra l'uomo e i canidi ha fatto sì che tra tutti i mannari proprio quelli di stirpe lupina siano tra le specie con le origini documentabili più antiche.
Le leggende riguardo gli uomini–lupo si moltiplicano in tutta Europa dall'Alto Medioevo in poi. Il corpus mitologico che ne scaturisce si manterrà sostanzialmente in costante espansione fino al XVIII secolo, con punte di massima crescita tra il XIV e il XVII secolo, in coincidenza delle più grandi cacce alle streghe dell'Inquisizione. Dal Settecento in poi si tenderà a sconfessare apertamente la possibilità che un essere umano si muti fisicamente in un lupo, e la licantropia rimarrà contemplata solamente dalla psichiatria come affezione patologica che porta il malato già "lunatico" a credersi bestia a tutti gli effetti. Nel folclore locale manterrà, invece, solide radici.Nell'antico Egitto, le prime raffigurazioni di un incrocio tra un canide e un uomo riguardano lo sciacalloAnubi, infatti, compare tra le principali divinità venerate dagli antichi egizi, sia nell'Alto che nel Basso Egitto, fin dalle prime dinastie. Il dio viene propriamente raffigurato come uno sciacallo, il più delle volte accucciato ma, quando deve presiedere ai riti del trapasso, assume la forma di un uomo con la testa di sciacallo. Le sue raffigurazioni, sebbene compaiano già all'inizio della storia egizia, si fanno più frequenti a partire dalMedio Regno (2134 a.C.-1991 a.C.), quando si diffondono maggiormente le tombe ipogee riccamente decorate. Anubi è il protettore degli imbalsamatori; presiede al processo di conservazione del defunto e guida il suo akh (l'equivalente dell'anima cristiana) nel regno delle ombre. Lo conduce fino a Osiride, a cui era deputato il giudizio dell'anima. Anubi, inoltre, presiede insieme ad Horus alla pesatura del cuore del defunto, il risultato del quale è uno degli elementi per il giudizio stesso. In questo caso non si può parlare di mannarismo vero e proprio perché manca l'aspetto della trasformazione, volontaria o involontaria; semplicemente, le due forme del dio convivono nell'immaginario egizio. La convivenza contemporanea di due o più forme per le divinità è caratteristica della religione egiziana e probabile traccia di un tentativo di unificazione di vari pantheon separati, nati indipendentemente lungo il corso del Nilo.
Nell'Antica Grecia compaiono altre raffigurazioni, rispettivamente, ZeusFebo e Licaone.
Zeus è un appassionato mutaforma e più volte si serve della sua facoltà per sedurre donne mortali eludendo la sorveglianza di Hera. Nel suo repertorio di trasformazioni (che, in effetti, si può ritenere illimitato, essendo egli un dio), vi è anche quella in lupo. Proprio in questa forma, e col nome di Liceo era adorato in Argo. In questa città, e sotto forma di lupo, Zeus era comparso per appoggiare il malcontento popolare nei confronti del re Gelanore e appoggiare l'eroe Danao, che al re fu sostituito.
Febo, insieme a sua sorella Artemide, viene partorito da Latona, trasformata in lupa. Inoltre, tra le facoltà attribuite al dio Febo-Apollo vi è quella di mutare forma; una delle sue trasformazioni è appunto in lupo. A Febo Lykos viene anche dedicato un boschetto nei pressi del suo tempio ad Atene, nel quale soleva tener lezione ai suoi discepoli Aristotele (il Liceo di Aristotele, da cui prende il nome l'ordine scolastico, detto, appunto, liceo). Il lupo diviene quindi animale della sapienza.
Il mito di Licaone documenta, nelle sue varie versioni, il passaggio del lupo da creatura degna di venerazione a essere da temere. Nella versione originaria, Licaone, re dei Pelasgi, fonda sul monte Liceo la città di Licosura, la prima città di questo popolo. Nelle versioni successive Licaone diviene un feroce re dell'Arcadia. Un giorno dette ospitalità a un mendicante ma, per burlarsi di lui, lo sfamò con le carni d'uno schiavo ucciso (secondo altre versioni, la portata principale era uno dei suoi stessi figli). Il mendicante, che era in realtà Zeus travestito, si indignò per il gesto sacrilego, e dopo aver fulminato i suoi numerosi figli lo trasformò in lupo, costringendolo a vagare per i boschi in forma di bestia. L'economia nella zona dell'Arcadia in cui ha origine la seconda versione del mito è molto più legata all'allevamento di quanto non fossero Atene o Argo. Si riflette quindi, in questa visione del predatore, l'atteggiamento di diffidenza che poteva assumere una società pastorale; il lupo viene visto, qui, come negativo, essere trasformati in esso è una punizione, non più una qualità divina. Il "lupo cattivo" stesso, nemesi dell'eroe in duemila anni di favole, ha i suoi natali nella Grecia antica. La lupa Mormolice, demone femminile, diviene lo spauracchio dei bambini cattivi, che, secondo le madri greche, fa diventare zoppi.La figura del lupo, in qualche modo antropomorfa, fa la sua comparsa indipendente anche in altre zone europee. Presso le tribù galliche è un carnivoro necrofago, e viene raffigurato seduto come un uomo nell'atto di divorare un morto. Presso gli etruschi è Ajta a incarnare in qualche modo le sembianze del mannaro; il dio etrusco degli inferi ama portare un elmo di pelle di lupo, che lo rende invisibile.
È difficile stabilire quando si abbiano le prime leggende che parlino esplicitamente di licantropi. Di certo, la figura del lupo mannaro compare, ancora in epoca classica, nel I secolo nella narrativa della Roma antica. Ne parla Gaio Petronio Arbitro nel frammento LXII del Satyricon ed è la prima novella in cui appare questa figura:
« [...] arrivati a certe tombe il mio uomo si nascose a fare i suoi bisogni tra le pietre, mentre io continuo a camminare canticchiando e mi metto a contarle. Mi volto e che ti vedo? Il mio compagno si spogliava e buttava le vesti sul ciglio della strada. Mi sentii venir meno il respiro e cominciai a sudare freddo. Sennonché quello si mette ad inzuppare di orina le vesti e diventa d’improvviso un lupo. [...] appena diventato lupo, si mette ad ululare ed entra nel bosco. [...] Mi faccio forza e, snudata la spada, comincio a sciabolare le ombre fino a che non arrivo alla villa dove abitava la mia amica. La mia Melissa pareva stupita al vedermi in giro a un’ora simile e aggiunse: "Se tu fossi arrivato poco fa, ci avresti dato una mano: un lupo è entrato nella villa e ha scannato tutte le pecore peggio di un macellaio. Ma anche se è riuscito a fuggire, l’ha pagata cara, perché uno schiavo gli ha trapassato il collo con una lancia". Al sentire questo non riuscii a chiudere occhio durante la notte e, a giorno fatto, me ne tornai di volata a casa di Gaio, il nostro padrone, come un mercante svaligiato. [...] quando entrai in casa, vidi il soldato che giaceva disteso sul mio letto, sanguinante come un bue, e un medico gli curava il collo. Capii finalmente che si trattava di un lupo mannaro. »
Nella cultura romana, il lupo non è visto solo con sospetto, ma anche con ammirazione. È un simbolo di forza, e la sua pelle viene indossata da importanti figure all'interno dell'esercito. I vexillifer, sottufficiali incaricati di portare le insegne di ogni legione, indossavano infatti una pelle di lupo che copriva l'elmo e parte della corazza. Il licantropo veniva chiamato versipellis, in quanto si riteneva che la pelliccia del lupo rimanesse nascosta all'interno del corpo di un uomo, che poi si "rivoltava" assumendo le fattezze bestiali.
Il rapporto tra il lupo e i Romani antichi è positivo, come testimoniato anche da altre tradizioni: a parte la lupa nutrice di Romolo e Remo, il 15 febbraio si svolgeva la cerimonia deiLupercali, in onore del dio Luperco (identificato dai Greci con il loro Pan), nel corso della quale il sacerdote, vestito da lupo, passava un coltello bagnato di sangue sulla fronte di due adolescenti (questo aspetto della cerimonia era probabilmente derivato da un originario sacrificio umano). Luperco era il protettore delle greggi e il rito era stato ereditato daiSabini. Essi identificavano se stessi nel lupo, animale da cui pensavano avessero origine le loro caratteristiche originarie di guerrieri e cacciatori. Il termine "lupo mannaro" ha origine dal basso latino lupus hominarius, il cui significato etimologico è "lupo che si comporta come un uomo".
I Romani colti sembrano piuttosto consapevoli che la licantropia è concepita soprattutto come affezione psichiatrica piuttosto che come reale condizione fisica, e in ambito ellenico lo stesso Claudio Galeno nella sua Ars medica dà una descrizione più realistica di questa malattia, prescrivendo anche dei rimedi:
« Coloro i quali vengono colti dal morbo, chiamato lupino o canino, escono di notte nel mese di febbraio, imitano in tutto i lupi o i cani, e fino al sorgere del giorno di preferenza scoprono le tombe. Tuttavia si possono riconoscere le persone affette da tale malattia da questi sintomi. Sono pallidi e malaticci d'aspetto, e hanno gli occhi secchi e non lacrimano. Si può notare che hanno anche gli occhi incavati e la lingua arida, e non emettono saliva per nulla. Sono anche assetati e hanno le tibie piagate in modo inguaribile a causa delle continue cadute e dei morsi dei cani; e tali sono i sintomi. È opportuno invero sapere che questo morbo è della specie della melanconia: che si potrà curare, se si inciderà la vena nel periodo dell'accesso e si farà evacuare il sangue fino alla perdita dei sensi, e si nutrirà l'infermo con cibi molto succosi. Ci si può avvalere d'altra parte di bagni d'acqua dolce: quindi il siero di latte per un periodo di tre giorni, parimenti si purgherà con la colloquinta di Rufo o di Archigene o di Giusto, presa ripetutamente ad intervalli. Dopo le purgazioni si può anche usare la teriarca estratta dalle vipere e le altre da applicare nella melanconia già in precedenza ricordate »
Nel latino medievale, infine, wargus designa il lupo (normale, in questo caso) ma deriva da una parola germanica che indica l'uomo che viene punito per un crimine. Nella società germanica questi veniva allontanato dalla civiltà e dalla protezione che essa offre, divenendo simile all'essere selvatico per eccellenza. "Criminale" è detto dunque wearg in Antico Inglese, warag in Antico Sassone, warc(h), in Antico Alto Tedesco, vargr in Norreno e wargus in Latino medievale (come prestito dal Germanico).Nel XVI secolo si verificarono in Francia molti casi di licantropia, per la maggior parte rimasti insoluti, quindi non attribuibili a semplici lupi, ma ad altri esseri sconosciuti. Gilles Garnier, nello stesso periodo, era un solitario che uccideva e divorava i bambini che si trovavano lontano da casa. Una sorta di "Hannibal" del tempo. Accusato di licantropia e stregoneria, fu arso vivo a Dole, in Francia, il 18 gennaio 1573. Garnier proveniva da una zona infestata dai lupi, in cui sempre in quegli anni, altre quattro persone furono processate per licantropia. Può essere quindi che ci fosse stata una sorta di epidemia che aveva portato certe persone ad assumere caratteri bestiali? Una sorta di Rabbia? Il tedesco Peter Stubbe si vantava di aver ricevuto una cintura stregata dal diavolo con la quale poteva trasformarsi in lupo quando lo voleva.


Fu dilaniato sulla ruota della tortura, decapitato e arso il 28 ottobre del 1589 per aver ucciso negli anni precedenti almeno 13 bambini, compreso suo figlio e due donne incinte. Anche molte streghe di quel peiodo vennero processate con l'accusa di potersi trasformare in lupi mannari durante i loro sabba. Nel 1588 un cacciatore riuscì a mozzare la zampa di uno di questi lupi ed a conservarla. Tornato in paese, la mostrò a tutti, ma inspiegabilmente, nella sacca, al posto della zampa, c'era una mano di donna con un anello. Un nobile che passava di lì, lo riconobbe, corse a casa e trovò la moglie che si curava una ferita. Non aveva più la mano. Accusata di licantropia, fu arsa sul rogo. In realtà, la licantropia nella maggior parte dei casi, non è altro che una malattia mentale, in cui i soggetti si credono lupi, ululano e cercano carne umana da divorare. Casi come quelli riportati qui sopra sono frequenti anche successivamente ed in altri luoghi del mondo ed in certi casi, i lupi mannari vennero proprio considerati persone malate, quindi da curare, piuttosto che da ardere in piazza. Nella maggior parte si trattava di serial killer psicopatici.

Nelle tradizioni del Nord Europa compaiono figure di guerrieri consacrati a Odino, i berserker, che nella furia della battaglia si diceva si trasformassero in orsi o lupi.
Fenrir è il prototipo del lupo mannaro scandinavo. È uno dei tre mostruosi figli di Loki, il dio vichingo degli inganni. Fenrir non è un lupo mannaro vero e proprio, perché non può trasformarsi e si presenta sempre in forma di lupo; tuttavia, è grosso al punto di essere deforme, ferocissimo, scaltro e dotato di parola come un uomo, tutte caratteristiche che lo avvicinano fortemente alla stirpe dei mannari. Gli dei vichinghi, man mano che cresce, iniziano a temerlo. Cercano di imprigionarlo, ma la belva è troppo forte e riesce a liberarsi. Per bloccarlo definitivamente devono ricorrere all'inganno e alla magia (altra analogia con molti miti riguardanti licantropi): lo legano con un laccio fabbricato dai nani intrecciando barba di donna, rumore di passi di gatto, radici di un monte, respiro di pesce, tendini d'orso e sputo d'uccello.
Ha forma di lupo anche l'innaturale progenie di una vecchia gigantessa. Due dei suoi figli lupi, Skoll e Hati, inseguono dall'alba dei tempi il sole e la luna (ed è per questo motivo, secondo il mito, che i due astri si muovono) e finiranno per divorarli nell'ultimo giorno del mondo.
I lupi mannari propriamente detti compaiono anche nell'epica vichinga, in particolare nella saga dei Volsunghi, in almeno due occasioni. Nel canto quinto, a trasformarsi in lupo è la madre di re Sigger, facendo uso delle sue arti magiche. La regina-lupa si diverte, nella leggenda, a infierire sui figli di Volsung, che erano stati fatti prigionieri in battaglia da suo figlio; dei dieci uomini, nove vengono uccisi. Sopravvive Sigmund, aiutato dalla gemella Signi, che è anche moglie di re Sigger. Questa gli unge il volto di miele e la notte il lupo mannaro si ingolosisce, sentendo l'odore, ma gli lecca il volto anziché sbranarlo. Prontamente Sigmund gli afferra la lingua con i denti e la belva se la strappa per liberarsi. Nel tentativo, si procura una ferita che la uccide e, contemporaneamente, spezza i ceppi di Sigmund, liberandolo. Il tema del lupo mannaro ricompare nel canto ottavo; qui Sigmund e il nipote Sinfjotli giungono, attraverso una foresta, a una casa dove dormono due uomini di nobile stirpe. Sopra di loro sono appese delle pelli di lupo, due principi stregati da un incantesimo: devono sempre mostrarsi in forma di lupo, e solo una volta ogni cinque giorni possono riprendere sembianze umane. Sigmund e il nipote, incuriositi dalle pelli, le rubano, facendo ricadere su di loro la maledizione. Assumono sia le sembianze che la natura di lupi, e iniziano a aggredire uomini. In particolare, Sinfjotli si dimostra aggressivo e furbo.
« [...] quando nel più folto della foresta si imbatté a sua volta in un gruppo di undici uomini. Invece di chiamare lo zio [si erano accordati di non aggredire più di sette uomini contemporaneamente senza chiedere l'aiuto dell'altro], aspettò il momento più opportuno per coglierli di sorpresa, poi li assalì tutti insieme e li sbranò. Lo zio lo sorprende stanco a sonnecchiare presso i corpi degli uomini uccisi e si adira "Non rispetti i nostri accordi, Sinfjotli". »
Sigmund e Sinfjotli riescono poi a liberarsi dalla maledizione del lupo mannaro dando fuoco alle pelli.
Il mito del licantropo si ritrova nel nord Europa anche in altre zone, oltre alla Scandinavia. Compaiono nella tradizione dei popoli germanici e delle isole britanniche a fianco, di volta in volta, dell'orso mannaro o del gatto selvatico. La diffusione di queste credenze è testimoniata da Olaus Magnus nella sua Historia de gentibus septentrionalis. Magnus racconta come, nella notte di Natale, si radunino in un certo luogo molti uomini-lupo:
« [...] li quali la notte medesima, con meravigliosa ferocità incrudeliscono, e contro la generazione umana, e contro gl'altri animali, che non son di feroce natura, che gl'abitatori di quelle regioni patiscono molto di più danno da costoro, che da quei che naturali Lupi sono, non fanno. Perciochè, come s'è trovato impugnato con meravigliosa ferocità a le case de gl'uomini, che stanno nelle selve, e sforzansi di romperle le porte, per poter consumare gl'uomini e le bestie che vi son dentro »
(traduzione dal latino di Remigio Fiorentino, Venezia, 1561)
Il carattere di questi licantropi si differenzia quindi notevolmente dai lupi genuini, che ne escono quasi riabilitati. I mostri descritti da Magnus hanno anche spiccata tendenza all'alcolismo; dopo essere entrati nelle cantine:
« quivi si bevono molte botti [di birra] e di quella e d'altre bevande, e poi lasciano le botti vote, l'una sopra l'altra, in mezzo alla cantina. E in questa parte sono disformi dai naturali, e veri Lupi »
Ulfhendhnir è il nome dato in molte regioni settentrionali a questi esseri, e il suo significato è "dalla casacca di lupo".In Italia il lupo mannaro assume nomi diversi da regione a regione: lupi minari in Calabria, lupenari in Irpinia, lupom'n in Puglia, luponari in Sicilia, Luv Ravas nel cuneese, Loup Ravat nelle valli valdesi.
Nella Francia centrale e meridionale il lupo mannaro è il loup garou. L'etimologia è incerta; secondo alcuni, garou contiene una radice che significa "uomo", mentre secondo altri deriva da loup dont il faut se garer, ovvero "lupo dal quale bisogna guardarsi". Nella Francia settentrionale, in particolare in Bretagna, è il bisclavert.
In Germania e in Gran Bretagna ci sono i werwulf e i werewolf, la cui origine etimologica è la medesima: wer, dalla stessa radice del latino vir (uomo) e wulf o wolf (lupo).
Nell'Europa dell'est compare una figura ambigua, a metà tra il lupo mannaro e un demone in grado di risucchiare la forza vitale (che, più tardi, si identificherà col vampiro). Il suo nome cambia a seconda della regione, ma l'origine del nome rimane sempre la stessa.
È detto oboroten in Russia, wilkolak in Polonia, vulkolak in Bulgaria, varcolac' (la forma forse più nota), in Romania.In Oriente, si diceva che Gengis Khan fosse discendente del "grande lupo grigio".
Nelle pianure degli Stati Uniti, erano gli indiani Pawnee a ritenersi imparentati con i lupi. Usavano anche ricoprirsi delle pelli di questi animali per andare a caccia. Un simile comportamento può avere un valore esclusivamente simbolico (la volontà di impadronirsi delle doti del predatore) e non certo mimetico: le potenziali prede degli uomini sono anche, da altrettanto tempo se non di più, prede del lupo, e sono quindi molto ben allenate a distinguerne il manto. Inoltre poco dopo la scoperta delle Americhe i coloni sostenevano che la licantropia fosse una maledizione dei "pelle rossa" dovuta all'"incrocio" di sangue tra coloni e indiani dovuti a matrimoni misti o ad altre motivazioni come gli stupri compiuti meschinamente da coloni nei confronti degli indiani. Ed altri sostenevano fosse la punizione di Dio per aver accettato scambi con gli indiani. Mentre i nativi americani sostenevano che la licantropia fosse una malattia o maledizione portata dai coloni.Dal Basso Medioevo in avanti, il rogo è una soluzione usata a profusione per sbarazzarsi dei sempre più numerosi mutaforme, che paiono moltiplicarsi, specialmente in Francia eGermania. Il fenomeno arriva a toccare dimensioni gigantesche negli anni successivi alla controriforma, sia nei Paesi cattolici che protestanti. Redigere una contabilità precisa di quanti siano finiti al rogo con l'accusa di mannarismo, da sola o in congiunzione con quella di stregoneria, è molto difficile. Le fonti più prudenti parlano di circa ventimila processi e condanne di licantropi tra il 1300 e il 1600, ma alcuni si sbilanciano fino a suggerire un numero prossimo alle centomila vittime. La storia più famosa è quella di un certo Peter Stubbe, che forse era effettivamente un serial killer. Per secoli si è comunque in presenza di una sorta di isteria collettiva, che è ben testimoniata dagli studi di Jacques Collin de Plancy. De Plancy, studioso francese dell'Ottocento che si dedicò animatamente a studi di spirito volterriano per spazzare la superstizione residua nella gente, raccoglie molte testimonianze dei secoli precedenti nel suo Dictionnaire Infernal, dando un quadro abbastanza preciso di quella che era la situazione in Europa nei secoli citati:
« L'imperatore Sigismondo fece discutere in sua presenza, da un conclave di sapienti, la questione dei lupi mannari, e fu unanimemente stabilito che la mostruosa metamorfosi era un fatto accertato e costante. Un malfattore che volesse compiere qualche soperchieria, non aveva che da spacciarsi per Lupo Mannaro per terrorizzare e mettere in fuga chiunque. A tale scopo non aveva bisogno di trasformarsi davanti a tutti in lupo: bastava la fama. Molti delinquenti vennero arrestati come lupi mannari, pur rimanendo sempre con sembianze umane. Pencer, nella seconda metà del Cinquecento, riferisce che in Livonia, sul finire del mese di dicembre, ogni anno si trova qualche sinistro personaggio che intima agli stregoni di trovarsi in un certo luogo: e, se loro si rifiutano, il Diavolo stesso ve li conduce, distribuendo nerbate così bene assestate da lasciare immancabilmente il segno. Il loro capo va avanti per primo, e migliaia di Stregoni vanno dietro di lui; infine attraversano un fiume, varcato il quale si cambiano in lupi e si gettano su uomini e greggi, menando strage »
Plancy riferisce anche un episodio italiano, la cui fonte prima dice essere un certo Fincel:
« Un giorno venne preso al laccio un lupo mannaro che correva per le vie di Padova; gli si tagliarono le zampe, e il mostro riprese tosto forma d’uomo, ma con piedi e mani mozzati »
Questa sorta di isteria collettiva porta a episodi terribili e grotteschi insieme. A tal medico Pomponace, sempre secondo Plancy, venne portato un contadino affetto da licantropia; questi gridava ai suoi vicini di fuggire se non volevano essere divorati. Siccome lo sventurato non aveva affatto la forma di lupo, i villici avevano cominciato a scorticarlo per vedere se per caso non avesse il pelo sotto la pelle. Non avendone trovato traccia, lo avevano portato dal medico. Pomponace, con maggior buon senso, stabilì che si trattava di unipocondriaco.
Per lo più, tutte le storie e le leggende sono concordi nell'affermare l'origine diabolica del mostro, che viene spesso associato con streghe ed eretici. A parte questo punto in comune, è impossibile tracciare una morfologia univoca del licantropo. Normalmente lo si trova rappresentato in forma di lupo (e non una creatura ibrida tra l'uomo e la bestia, come nei film horror), che può però assumere un'ampia gamma di aspetti e dimensioni, dal normale lupo, da cui si distingue solo per l'intelligenza e la ferocia, a una mostruosità grossa come una vacca e deforme, dalla forza spaventosa e dalla ferocia senza pari. Taluni affermano anche che il licantropo è privo di coda, perché le creazioni del diavolo, per quanto ben riuscite, sono necessariamente imperfette. Altri ritengono che sia necessariamente di colore nero. Un possibile tratto distintivo sta nelle sue impronte: in alcune leggende, il lupo mannaro lascia a terra il segno di cinque unghie (i canidi normali lasciano solo quattro tacche. Il pollice si è atrofizzato e non tocca il terreno). Alcuni di questi uomini bestia conservano la possibilità di parlare e ragionare come normali esseri umani, altri la perdono completamente. Anche alla regola secondo cui non vengono mai rappresentati come ibridi ci sono delle eccezioni, sia pure rare e parziali. Infatti, a volte il lupo mannaro sembra poter procedere su due zampe, o conservare una certa prensilità degli arti anteriori, cosa che gli consente, all'occorrenza, di intrufolarsi nelle case scassinando le porte chiuse. Altro tratto distintivo è l'immenso gusto del licantropo per la carne fresca.
Il demonologo francese Pierre Delancre (Bordeaux 1565 (?) – Parigi 1630), lo descrive così:
« Essi sgozzano li cani e li bambini e li divoran con eccellente appetito; camminano a quattro zampe; ululano come veraci [lupi]; hanno ampia bocca, occhi di fuoco e zanne acuminate »
Diventa imperativo, per la possibile vittima medievale, cercare di capire anche come si presenta il mannaro in forma umana, per individuarlo e guardarsene. Il compito non è facile, perché esistono quasi tanti segni indicatori quante sono le versioni della bestia. Bisogna guardarsi da chi ha sopracciglia troppo folte e unite al centro, oppure il volto ferino, icanini troppo affilati, pelo sia sul dorso che sul palmo delle mani. Il dito indice più lungo del medio è sicuro indizio di licantropia, così pure un insano appetito per la carne cruda. È opportuno anche sospettare di chi sia troppo in forze senza che lo si veda mai mangiare; quasi di sicuro è un lupo mannaro che uccide persone la notte e le divora di nascosto.
Personaggio a metà tra lo stregone e l'uomo–lupo è il francese mener de loups o "pastore di lupi". È una sorta di incantatore che, pur non trasformandosi personalmente in lupo, è in grado di radunare e guidare un branco di queste bestie per i suoi scellerati fini. La capacità di comandare un branco di normali lupi è spesso riconosciuta anche al licantropo. Alla testa dei suoi "simili", poi, il lupo mannaro può dare l'assalto a paesi o, addirittura, a roccaforti, facendo strage degli abitanti e divorando gli armenti. Talvolta, questi branchi misti si presteranno anche a fare da cavalcatura alle streghe, e a portarle ai luoghi del sabba.
Nel Medioevo si completa l'opera di demonizzazione del lupo, che viene assimilato al suo "doppio" innaturale e visto come servo delle streghe (il mannaro è una loro possibile incarnazione). I lupi sono vicini a Satana, e devono cominciare a guardarsi con molta attenzione dagli uomini, che talvolta arriveranno a fare dei veri e propri roghi di queste bestie, a fianco di sventurati accusati di stregonerie o eresia.



Strega





 La strega è una donna ritenuta dedita all'esercizio della stregoneria, ovvero, secondo vasta credenza popolare tradizionale a molte culture, una donna che si ritiene sia dotata di poteri occulti; il suo omologo maschile è lo stregone.

La figura della strega ha però radici che precedono il Cristianesimo ed è presente in quasi tutte le culture come figura a metà strada tra lo sciamano e chi, dotato di poteri occulti, possa utilizzarli per nuocere alla comunità, soprattutto agricola.
È stata avanzata l'ipotesi che la stregoneria sia l'interpretazione fantastica dell'intossicazione da Ergot.Solitamente le streghe si distinguono in due categorie, streghe nere e streghe bianche. Secondo la tradizione, le prime hanno più probabilità ad avere contatti con il male, mentre alle seconde, vengono attribuiti dei poteri di guarigione.

Il termine deriverebbe dal greco "stryx, strygòs" e sta per "strigebarbagianni, uccello notturno", ma col passare del tempo assunse il più ampio significato di "esperta di magia e incantesimi". Nel latino medioevale il termine utilizzato era lamia, mentre nell'Italia dei giorni nostri il sostantivo varia molto a seconda della zona.Sin dall’antichità, le streghe sono delle donne che rinunciavano a Dio, sono non di rado rappresentate accanto ad un filatoio o nell'atto di intrecciare nodi, a richiamare l'idea di vendetta, tessendo, cioè, il destino degli uomini e ponendoli di fronte a mille ostacoli. Inoltre, ogni strega della tradizione è accompagnata da qualche strano animale con caratteri diabolici che fungerebbe da consigliere della propria padrona, quali gatto, corvo, civetta, topo o rana. E ancora, le loro stregonerie avvengono in giorni stabiliti in base al ciclo naturale.

Inoltre, un'altra immagine tradizionale e popolare della strega la rappresenta in volo a cavallo di una scopa. Questa iconografia dichiara esplicitamente la sua parentela con laBefana, e l'appartenenza di entrambe le figure all'immaginario popolare dei mediatori tra il mondo dei vivi e quello dei morti.Al giorno d'oggi, in ambito religioso si intende per "strega" il seguace della Stregoneria Tradizionale (quella Italiana chiamata Stregheria) o della Stregoneria moderna (chiamataWicca), appartenente all'ambito del Neopaganesimo.
Lamia
Lamia è forse la creatura mtologica che più si avvicina al controveso personaggio della biblica Lilith.
Le lamie dell'antichità greca erano figure in parte umane e in parte animalesche, rapitrici di bambini, fantasmi seduttori che adescavano giovani uomini per poi nutrirsi del loro sangue e della loro carne. Venivano spesso chiamate anche empuse, sebbene il mito delle empuse, figlie o serve di Ecate, avesse origini differenti.

Il mito racconta che:

Lamia era la bellissima regina della Libia, figlia di Belo: essa ebbe da Zeus il dono di levarsi gli occhi dalle orbite e rimetterli a proprio piacere. Presto Lamia catturò il cuore di Zeus provocando la rabbia di Era, che si vendicò uccidendo i figli che suo marito ebbe da Lamia.
L'unica figlia ad essere risparmiata fu Scilla; probabilmente, anche Sibilla si salvò.
Lamia, lacerata dal dolore, iniziò a sfogarsi divorando i bambini delle altre madri, dei quali succhiava il sangue. Il suo comportamento innaturale fece in modo che la sua bellezza originaria si corrompesse, trasformandola in un essere di orribile aspetto, capace di mutare forma e apparire attraente per sedurre gli uomini, allo scopo di berne il sangue.
Per questo motivo la lamia viene considerata una sorta di vampiro ante litteram.




Bigfoot



  Il Bigfoot, detto anche SasquatchMomo o Piedone, è una leggendaria creatura scimmiesca che dovrebbe vivere nelle foreste dell'America Settentrionale. Segnalazioni della sua presenza sono arrivate da diverse parti del continente ma sembra che i Bigfoot siano concentrati nei due stati americani di Washington e Oregon.

Non ci sono prove concrete della sua esistenza se non video, foto od orme di piedi anomale.
Alcuni ritengono possa trattarsi di un ramo distaccato dello Yeti o di una specie sopravvissuta all'estinzione di Gigantopiteco, una scimmia asiatica di notevoli dimensioni, oggi ritenuta estinta.
Il Bigfoot dovrebbe essere alto dai 2 ai 2,70 metri (dai 7 ai 9 piedi), con folta peluria scura che varia dal rosso scuro al nero e grandi piedi (da cui il nome) che lascerebbero tracce di 40-46 cm sul terreno. Il Bigfoot è descritto come un grande ominide o primate bipede; il volto è relativamente simile a quello di un uomo. i testimoni dicono che ha dei grandi occhi e una cresta abbassata sulla testa, mentre non si nota traccia di collo: la testa sembra poggiare direttamente sulle spalle. Manca inoltre il muscolo del polpaccio. In base alle descrizioni peserebbe intorno ai duecento chilogrammi.
Nel 1974 nell'Oregon del Sud è stata costruita una trappola per la cattura di un Bigfoot, che a più di trentacinque anni di distanza non è riuscita nel suo intento. Oggi come oggi più che altro funziona come attrazione turistica. Agli effetti pratici, nessuna trappola potrebbe imprigionare un Bigfoot, non tanto per la mole quanto per l'intelligenza, come da leggende indiane che lo descrivono mimetico e astuto guerriero, come il guerriero Apache.Sono varie le teorie sostenute a più riprese dalla comunità criptozoologica. Si parla di esemplari sconosciuti di primati, creature aliene, mammiferi della famiglia Megatheriumsopravvissuti all'estinzione. Nel libro Hunting the Grisly and Other Sketches (1900), presentato da Theodore Roosevelt, viene citata l'esperienza di due cacciatori alle prese con un violentissimo orso bruno fuori dalla norma. Il caso verrà successivamente trattato come uno dei primi concreti rapporti sull'esistenza del Bigfoot.

Il primatologo John Napier e l'antropologo Gordon Strasenburg hanno proposto una tesi alternativa, secondo cui i Bigfoot potrebbero essere esemplari di ominidi sopravvissuti all'estinzione, più in ristretto dei Australopithecus robustus, a discreditare la teoria v'è il fatto che i resti di questa famiglia ominide siano stati trovati unicamente nell'Africa meridionale.
Alcuni sostengono che questo leggendario primate possa essere imparentato con lo Yeti del Tibet e l'Alma della Mongolia. Mentre per lo Yeti si aveva un cranio in un tempio tibetano nell'Himalaya, poi rivelatosi un falso, per lo Sasquatch non si dispone di alcun elemento che ne attesti l'esistenza.La prova più verosimile dell'esistenza di questo animale è un video girato il 20 ottobre 1967 dai cacciatori Roger Patterson e Bob Gimlin; la pellicola fa vedere un Bigfoot femmina molto alto, dai seni cadenti e una folta peluria nera/grigia, che cammina con passo malandato vicino al fiume Bluff Creek, si gira verso i due uomini e si addentra nella foresta. A distanza di molti anni nessuno ha accertato la veridicità di tale filmato. Secondo il regista John Landis si tratta di un uomo travestito da Bigfoot: secondo lui è stato John Chambers a fare il costume (ha fama di avere fatto i costumi per Il pianeta delle scimmie). Nel 2004 è trapelato il nome dell'uomo che avrebbe vestito il costume della creatura: un certo Bob Heironimus, un pensionato, in un costume fatto da Philip Morris in Carolina. Patterson fino alla sua morte (1972) ha sostenuto l'autenticità del suo filmato. Bisogna anche dire che non ci sono prove che il filmato sia un falso, infatti il costume da Bigfoot non fu mai ritrovato.Si parla del Bigfoot anche nelle leggende dei Pellerossa: di questo essere si inizia a parlare dal 1958, quando un operaio trovò delle orme gigantesche durante degli scavi.Le leggende dei pellerossa dicono che i Bigfoot mangino le persone, perciò ne hanno molta paura e cercano di ucciderlo.

Nel 2002, in Germania viene prodotto un film, The Untold, tratto da un resoconto di tre esploratori nelle foreste nordamericane. Il film narra le vicende di due uomini e una donna alle prese con un animale, forse un grizzly. Secondo uno degli esploratori gli attacchi da loro subiti furono opera di un Bigfoot, poiché secondo i suoi resoconti, questo animale avrebbe preso massi e tronchi con le mani, era bipede, corpo scimmiesco, ma coda assente. Gli altri due esploratori negarono apertamente un attacco da parte di uno Sasquatch.

Mostro di Loch Ness

Il mostro di Loch Ness, soprannominato anche Nessie, è una creatura leggendaria che vivrebbe nel Loch Ness, un lago dellaScozia.Il primo avvistamento di questo mostro lacustre risale al 590, quando il monaco irlandese San Columba descrive, nella sua Vita Sancti Columbae, il funerale di un abitante delle coste del lago ucciso da una "selvaggia bestia marina" che egli scacciò con le preghiere.Alcuni avvistamenti, in cui la sagoma era confusa (avrebbe potuto essere qualsiasi cosa), sarebbero avvenuti anche sulla terraferma, a partire dal 1930. Una delle testimonianze più influenti riguardo al mostro è "La foto del chirurgo" scattata da Robert Kenneth Wilson nei pressi di Invermoriston con l'ausilio dell'amico Maurice Chambers il 19 aprile 1934, rivelatasi in seguito un falso.

Gli ultimi avvistamenti o testimonianze di un certo rilievo e riportate dai mass mediarisalgono agli anni ottanta del XX secolo.
Gli ultimi avvistamenti sono piuttosto recenti: un avvistamento del celebre mostro è avvenuto il 26 maggio 2007 ad opera di Gordon Holmes, un tecnico di laboratorio che ha filmato una sagoma nuotare nel lago, mentre l'ultimo risale a fine agosto 2009, ad opera di Jason Cooke, guardia di sicurezza che, per fotografare il presunto mostro, ha utilizzato Google Earth.



Angelo


In molte tradizioni religiose, un angelo è un essere spirituale che assiste e serve Dio (o gli dei) o è al servizio dell'uomo lungo il percorso del suo progresso spirituale e la sua esistenza terrena.Il termine ha origine dal latino angelus, a sua volta derivato dal greco ἄγγελος (traslitterazione: ággelos; pronuncia: ánghelos), attestato neldialetto miceneo nel XIV/XII secolo a.C. come akero, con il significato di inviatomessaggero; e, come messaggero degli Dei, il termine "angelo" appare per la prima volta nelle credenze religiose della Civiltà classica.Il termine greco antico ánghelos (messaggero) è riferito al dio Hermes considerato il messaggero degli Dei. Identica funzione viene attribuita ad Iride sia nell'Iliade che negli Inni omerici., così inPlatone, nel Cratilo (407e-408b) queste due divinità vengono indicate come ángheloi degli Dei. Allo stesso modo viene indicata Artemide-Ecate (SofroneScoli a Teocrito, II,12)alludendo ai suoi rapporti con il mondo dei morti (Inferi). Anche Hermes è "messaggero di Persefone" (Inscriptiones Graecae XIV, 769) e quindi in rapporto con i mondo dei morti.
In collegamento a ciò, Sam Eitrem evidenzia che a Tera sono state rinvenute delle interessanti iscrizioni sepolcrali cristiane nelle quali viene menzionato l'ánghelos del defunto (Inscriptiones Graecae III, 933 e segg.).
Nella riflessione teologico-filosofica antica un tema corrispondente alla comune nozione degli angeli è già presente.
In Talete, come in Eraclito, il mondo è pieno di dèi vale a dire di angeli.
Per i pitagorici i sogni erano inviati agli uomini dai geni.
Anche Democrito parlò di geni abitanti nello spazio.
Platone, in particolare nel Convivio, menzionò dei dáimōn che, ministri di Dio, sono vicini agli uomini per ben ispirarli.
Con Filone di Alessandria (20 a.C. ca–50 d.C.), filosofo e teologo di cultura ebraica ed ellenistica, l'ánghelos greco si incrocia con ilmal'akh della Bibbia (così già reso nella Septuaginta) e diviene, nella sua spiegazione esegetico-allegorica della stessa Bibbia, il nesso fra il mondo sensibile e quello del Dio trascendente unitamente alle idee, alla sapienza e al pneuma. Questo nesso si rende necessario nella teologia di Filone in quanto il Dio trascendente non potrebbe avere un rapporto diretto con il mondo sensibile per via del male in esso contenuto.
A partire dal II-IV secolo, la teologia neoplatonica pagana utilizzerà la figura dell'ánghelos, inserita nella processione dall'Uno unitamente aiDèmoni e agli Eroi, seguendo l'ordine gerarchico di: Dei, Arcangeli, Angeli, Demoni ed Eroi.
Porfirio sosteneva che sono gli angeli a portare a Dio le nostre invocazioni difendendoci dai dèmoni malvagi.
Giamblico elaborò una gerarchia del mondo celeste sostenendo che gli angeli innalzano l'uomo dal mondo materiale mentre i demoni li spingono a immergervisi, gli arcangeli accompagnano le loro anime nel cielo e gli eroi si occupano del mondo. E la loro visione è ben differente:
« E le apparizioni degli dèi sono belle a vedersi, perché brillano, quelle degli arcangeli solenni e calme, più miti quelle degli angeli, quelle dei demoni terribili. Quelle degli eroi [...] sono senz'altro più miti di quelle dei demoni, quelle degli arconti ti fanno sbigottire, se essi esercitano il loro potere sul mondo, mentre sono dannose e dolorose a vedersi, se essi sono nella materia; quelle delle anime, infine, assomigliano per qualcosa a quelle degli eroi, ma sono più deboli. »
(GiamblicoDe mysteriis Aegyptiorum, Chaldeorum et Assyriorum II,3. Trad. it di Claudio Moreschi in Giamblico I misteri degli egiziani. Milano, Rizzoli, 2003, pag. 151)
Per Proclo gli angeli hanno il compito di aiutare l'uomo a tornare a Dio, sono esseri buoni che comunicano la volontà degli dei:
« Solo ciò che è conforme al bene può fare parte della schiera degli angeli mentre il male non può entrare in tale ordine; gli angeli infatti sono coloro che comunicano e rendono chiara la volontà degli dei, occupano il posto più alto fra i generi sommi e sono caratterizzati dall'essere buoni »
(Proclo Tria opuscola. Milano, Bompiani, 2004, pagg.510-1)
Il culto degli angeli fiorì in Egitto e Asia Minore tra il II e III secolo d.C.In questo quadro tale figura veniva evocata dal rito teurgico e considerata come accompagnatore dell'uomo dall'ingresso all'esistenza terrena, quando la sua anima scendeva lungo le varie influenze delle sfere celesti che ne determinavano le caratteristiche personologiche, durante la vita in quanto ne erano guida e protezione, e nel dopo-morte, quando gli angeli divenivano responsabili della sua purificazione, dovendo recidere i vincoli dell'anima del defunto con il mondo della materia.Andrea Piras evidenzia la stretta connessione tra gli angeli e le anime dei defunti nelle credenze relative all'immortalità delle religioni del mondo classico in quanto, secondo tali credenze, le anime migliori venivano trasformate in angeli. Così se una persona veniva formata attraverso la perfezione spirituale poteva acquisire uno status simile a quello degli angeli e questo spiegherebbe l'aggiunta del termine "angelo" al nome del defunto nelle iscrizioni funerarie.
La cultura religiosa dell'area mesopotamica ha elaborato alcune credenze sugli angeli, qui indicati con il termine sukkal (o sukol), che riverbereranno nei successivi monoteismi. Il ruolo dell'angelo babilonese è quello di messaggero-inviato del dio: il sukkal diMarduk è, ad esempio, Nabu, quello di Anu è Papsukkal mentre quello di Inanna è Mummu.
La cultura religiosa babilonese possiede degli angeli-custodi degli uomini (shedu e lamassu) raffigurati all'ingresso delle case per la protezione degli abitanti, accompagnandoli quando escono dalle stesse.
Altra figura importante è il karibu (o karabu, lett. "colui che prega, invoca") da cui deriverà il nome giunto nella lingua italiana come "cherubino". Il karibu viene raffigurato con le mani protese verso il cielo pronto ad intercedere con gli Dei. La sua rappresentazione, in forma antropomorfa o zoomorfa, ma comunque munita di ali è poi declinata nelle iconografie delle religioni abramitiche.
Gli "angeli" ricoprono un ruolo fondamentale nella religione zoroastriana.
Lo Zoroastrismo (o Mazdeismo) è la religione fondata dal profeta iranico Zarathuštra presumibilmente tra il X e l'VIII secolo a.C. e che avrà una notevole influenza sull' Ebraismo e sullo stesso Cristianesimo. Tale fede religiosa presuppone l'esistenza di un unico Dio indicato con il nome di Ahura Mazdā (Colui che crea con il pensiero) sapiente, onnisciente e sommo bene il quale all'origine dei tempi creò due spiriti superiori (mainyu) più una serie di spiriti secondari. Dopo tale creazione, uno dei due spiriti superiori, Angra Mainyu (Spirito del male), si ribellò al Dio unico trascinando con sé una moltitudine di esseri celesti secondari denominati Daēva, l'altro spirito superiore Spenta Mainyu (Spirito santo del bene) unitamente ad altri spiriti secondari indicati come Ameša Spenta restarono invece fedeli ad Ahura Mazdā, avviando un scontro cosmico tra il Bene e il Male di cui la creazione dell'universo materiale e dell'uomo ne rappresenterà l'elemento centrale. All'interno di questo quadro cosmico l'uomo creato dal Dio unico deve scegliere se schierarsi con il Bene o con il Male.
Il termine "angelo" è usato anche per l'ebraico biblico מלאך, mal'akh, sempre con il significato di "inviato", "messaggero"; anche per אביר, avir (lett. "potente" o anche "uomo forte, valoroso" nel Salmo 78,25); per א*להים, 'ělōhîm (sost. masch. pl.; lett. "le Divinità" nel Salmo 8,5); e per שִׁנְאָן shin'an (moltitudini) nel Salmo 68,17.




Il Giudaismo eredita dalla tradizione mesopotamica alcuni termini come Karibu, reso in ebraico come Kerub (כְּרוּב). Ma nel monoteismo biblico Kerub non è una divinità a cui essere devoti, quanto piuttosto un sottoposto dell'unico Dio onnipotente indicato come Jhwh.
Allo stesso modo sulla nozione dell' "angelo" biblico si osservano influenze semitiche, cananee e zoroastriane. Così come il nome del diavolo Ashmedai (אשמדאי) che compare nel testo non canonico del Libro di Tobia deriva all'avestico *Aēšmadaēva (demonio irato).




Nelle versioni ebraiche dei testi biblici מלאך, mal'akh indica quindi un "messaggero" dove il termine l'k indica generalmente l'"inviare" qualcuno per una ambasciata, per osservare o anche spiare qualcuno o qualcosa.
Mal'akh Jhwh è quindi l'inviato di Dio che trasmette le sue volontà tra gli uomini. Mal'akh viene reso nella versione greca della Bibbia con il termine greco ánghelos.
Così, nel Libro della Genesi, testo databile a non prima della seconda metà del VI a.C. due Mal'akh Jhwh si presentano a Lot (לוֹט) per salvarlo dalla distruzione di Sòdoma che stanno per compiere per ordine di Dio, e a cui Lot rende omaggio (lett. "faccia a terra": אַפַּיִם אָרְצָה, appayim aretzah):
« I due angeli arrivarono a Sòdoma sul far della sera, mentre Lot stava seduto alla porta di Sòdoma. Non appena li ebbe visti, Lot si alzò, andò loro incontro e si prostrò con la faccia a terra »


« Quegli uomini dissero allora a Lot: "Chi hai ancora qui? Il genero, i tuoi figli, le tue figlie e quanti hai in città, falli uscire da questo luogo. Perché noi stiamo per distruggere questo luogo: il grido innalzato contro di loro davanti al Signore è grande e il Signore ci ha mandati a distruggerli" »


Nel Libro dei Giudici, testo del V secolo a.C., un angelo appare alla moglie sterile di Manoach per annunciargli la nascita di colui che li salverà dai Filistei:


« L'angelo del Signore apparve a questa donna e le disse: "Ecco, tu sei sterile e non hai avuto figli, ma concepirai e partorirai un figlio. Ora guardati dal bere vino o bevanda inebriante e dal mangiare nulla d'immondo. Poiché ecco, tu concepirai e partorirai un figlio, sulla cui testa non passerà rasoio, perché il fanciullo sarà un nazireo consacrato a Dio fin dal seno materno; egli comincerà a liberare Israele dalle mani dei Filistei". La donna andò a dire al marito: "Un uomo di Dio è venuto da me; aveva l'aspetto di un angelo di Dio, un aspetto terribile. Io non gli ho domandato da dove veniva ed egli non mi ha rivelato il suo nome, ma mi ha detto: Ecco tu concepirai e partorirai un figlio; ora non bere vino né bevanda inebriante e non mangiare nulla d'immondo, perché il fanciullo sarà un nazireo di Dio dal seno materno fino al giorno della sua morte". »


Nel Libro di Zaccaria, testo del V secolo a.C., un angelo compare al profeta per comunicargli delle istruzioni da parte di Dio:


« Io ebbi una visione di notte. Un uomo,in groppa a un cavallo rosso, stava fra i mirti in una valle profonda; dietro a lui stavano altri cavalli rossi, sauri e bianchi. Io domandai: "Mio signore, che significano queste cose?". L'angelo che parlava con me mi rispose: "Io t'indicherò ciò che esse significano". Allora l'uomo che stava fra i mirti prese a dire: "Essi sono coloro che il Signore ha inviati a percorrere la terra". Si rivolsero infatti all'angelo del Signore che stava fra i mirti e gli dissero: "Abbiamo percorso la terra: è tutta tranquilla". Allora l'angelo del Signore disse: "Signore degli eserciti, fino a quando rifiuterai di aver pietà di Gerusalemme e delle città di Giuda, contro le quali sei sdegnato? Sono ormai settant'anni!". E all'angelo che parlava con me il Signore rivolse parole buone, piene di conforto. Poi l'angelo che parlava con me mi disse: "Fa' sapere questo: Così dice il Signore degli eserciti: Io sono ingelosito per Gerusalemme e per Sion di gelosia grande; ma ardo di sdegno contro le nazioni superbe, poiché mentre io ero un poco sdegnato, esse cooperarono al disastro. »


Nel testo apocalittico canonico del II secolo a.C., il Libro di Daniele, un angelo appare al giovane Daniele per spiegargli il significato simbolico delle visioni. Questo angelo ha un nome: Gabriele.


« Mentre io, Daniele, consideravo la visione e cercavo di comprenderla, ecco davanti a me uno in piedi, dall'aspetto d'uomo; intesi la voce di un uomo, in mezzo all'Ulai, che gridava e diceva: "Gabriele, spiega a lui la visione". Egli venne dove io ero e quando giunse, io ebbi paura e caddi con la faccia a terra. Egli mi disse: "Figlio dell'uomo, comprendi bene, questa visione riguarda il tempo della fine". Mentre egli parlava con me, caddi svenuto con la faccia a terra; ma egli mi toccò e mi fece alzare »


Il nome "Gabriele" (גַּבְרִיאֵ*ל, Gaḇrîʼēl) deriva da: geber, "uomo" (גָּ֫בֶר, nella sua accezione di "uomo valoroso", ovvero "guerriero") anche gabar (גָּבַר, "essere forte") e el (אֵ*ל, Dio) quindi "Guerriero di Dio" oppure "Dio mi rende forte".
Accanto a Gabriele, sempre nel Libro di Daniele si colloca un altro angelo, il suo nome è Michele.
Il nome "Michele" (מִיכָאֵ*ל, Mîkhā'ēl) deriva da: mi (מִי, chi), ki (כִּי, come) e el (אֵ*ל, Dio) quindi "Chi (è) come Dio?".
Michele si presenta come un "principe" (שָׂר, sar) che tutela il popolo di Israele dagli altri principi malvagi ovvero angeli malvagi che proteggono i popoli di Persia (פָּרָס, paras) e di Grecia (יָוָן, yavan):
« Allora mi disse: "Sai tu perché io sono venuto da te? Ora tornerò di nuovo a lottare con il principe di Persia, poi uscirò ed ecco verrà il principe di Grecia. Io ti dichiarerò ciò che è scritto nel libro della verità. Nessuno mi aiuta in questo se non Michele, il vostro principe »
Il Cristianesimo ha ereditato la nozione degli angeli dalla cultura religiosa biblico-ebraica, soprattutto di lingua greca, pur ridisegnandone le figure in accordo con il Nuovo Testamento. Così, ad esempio l'angelo ebraico nominato nel Libro di Daniele,Gaḇrîʼēl, reso nei Vangeli in greco antico come γαβριηλ (Gabriēl) e in latino, nella Vulgata, come Gabrihel, è l'angelo dell'Annunciazione.










« Nel sesto mese, l'angelo (ἄγγελος) Gabriele (Γαβριὴλ) fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret, a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria. Entrando da lei, disse: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te". »




Analogamente, nel 336, il Concilio di Laodicea nel Canone 35 proibirà le pratiche di invocazione e di adorazione degli angeli.
Dal punto di vista iconografico gli angeli cristiani verranno raffigurati con le ali solo a partire dal IV secolo, questo per evitare la loro confusione con divinità pagane come Nike.

Partendo dall'analisi della Bibbia Septuaginta, redatta in in lingua greca, i Padri della chiesa cristiana avviarono la loro ricerca teologicasugli angeli, ma per stabilire quale fosse il loro numero, quando essi furono creati e dove vivessero.

Origene sostenne che gli angeli fossero precedenti agli uomini nella creazione, considerando le anime degli uomini come angeli decaduti.

GiustinoIreneoLattanzio ed Ambrogio, seguendo il Libro di Enoch considerato canonico dalle chiese cristiane dei primi secoli, considerarono "angeli" i figli di Dio (beně Ělōhīm) che peccarono con le figlie degli uomini. Per le medesime ragioni Tertulliano ritenne che gli angeli disponessero di un corpo, visibile solo al loro creatore, capace di prendere la forma umana.
A partire dal IV secolo la Chiesa cristiana rigettò la canonicità del Libro di Henoc e quindi negò la corporeità degli angeli, in questo modo si espressero, tra gli altri, Tito di BostraEusebio di CesareaGregorio di Nissa e Giovanni Crisostomo. Tuttavia la corporeità fisica degli esseri spirituali, rigettata a partire dal IV secolo sul piano teologico, sopravvisse per tutto il Medioevo sul piano giuridico quando fu ammesso il commercio sessuale col demonio (δαιμόνιον- διάβολος della Septuaginta) commesso dalle streghe.
Pseudo-Dionigi l'Areopagita nel suo De caelesti hierarchia riprende parte della classificazione elaborata dal pagano Proclo] stabilendo la gerarchia angelica in base alla prossimità a Dio seguendo tale ordine: i serafini (più vicini a Dio) seguiti dai cherubini, dai principati, dalle dominazioni, dalle virtù, dalle potestà, dagli arcangeli e dagli angeli (questi ultimi i più lontani).
Con la scolastica il tema "angelico" si focalizza sulla natura di questi esseri spirituali trovando nel Concilio Lateranense IV (1215) uno dei momenti più significativi.




Il primo autore a offrire largo spazio a questa meditazione fu Onorio di Ratisbona il quale dedicò al tema ben quattro capitoli del suoElucidarium (composto tra il 1108 e il 1110).
Anche nel Cattolicesimo gli angeli sono creature di Dio spirituali, incorporee ma personali (dotate di intelligenza e volontà propria) e, tra gli esseri visibili, sono quelli con il più alto grado di perfezione.



La loro esistenza è una verità di fede confermata dalla Sacra scrittura e dalla tradizione cattolica[51]. Secondo una definizione disant'Agostino il termine angelo non definisce l'essere della creatura bensì l'ufficio o il compito assegnato da Dio. Sono realtà spirituali alle dirette dipendenze di Dio.
Nella Chiesa cattolica gli angeli assumono una dimensione fortemente cristologica. Essi annunciano Cristo, lo servono, ne sono messaggeri, sono creati fin dalla loro origine in funzione del suo regno e del suo disegno di salvezza e di vita.
Gli angeli hanno anche la funzione di assistere e proteggere la Chiesa e la vita umana, per questo vengono invocati nelle celebrazioni e nelle preghiere dei credenti. Sono segno della provvidenza di Dio e circondano con la loro protezione ed intercessione tutta la vita umana del fedele. Secondo le parole di Gesù, ognuno ha un proprio angelo custode e quelli dei bambini e dei semplici contemplano continuamente il volto di Dio.
Secondo la Chiesa Cattolica nella BibbiaLibro di Tobia, si legge che gli arcangeli sono coloro che siedono alla presenza di Dio, ne contemplano la gloria e lo lodano incessantemente. La Chiesa cattolica celebra la memoria di tre angeli in particolare:
Dal punto di vista tradizionale cattolico si sostiene anche che la descrizione delle gerarchie angeliche possa essere concepita in base alla sistematizzazione proposta dallopseudo-Dionigi Areopagita nella sua opera De coelesti hierarchia, suddividendo gli angeli in nove "cori angelici": Angeli; ArcangeliArchai o PrincipatiPotestàVirtùDominazioni;TroniCherubiniSerafini. Sono tre serie di schiere angeliche composte ciascuna da tre tipologie di angeli i quali avrebbero funzioni, regole e compiti precisi. Vi è poi, sempre secondo il punto di vista tradizionale, un angelo che ha il compito di distruggere questo mondo, l'Angelo dell'Apocalisse.
Dal 1670 papa Clemente X, stabilisce definitivamente nel rituale cattolico la festa dell'angelo custode il 2 Ottobre.
Il tema degli "angeli" acquisisce un ruolo piuttosto centrale nelle dottrine religiose gnostiche. Con il termine "Gnosticismo", termine coniato in Europa nel XVIII secolo, gli studiosi classificano un fenomeno religioso diffusosi nel Vicino Oriente e nel Mondo Classico intorno al I-II secolo d.C.




Le radici di tale fenomeno religioso le si possono riscontrare in una comunità battista samaritana che, unitamente a quelle giudaiche non rabbiniche, ebbe origine dal mistico e asceta Giovanni Battista.
Dopo la morte di Giovanni Battista il movimento 'battista' si suddivise in vari tronconi. In uno di questi, quello "samaritano" che ebbe in DositeoSimone e Menandro alcuni dei suoi più significativi leader, si svilupparono per la prima volta alcune originali dottrine religiose, la principale tra queste voleva il mondo non creato da un dio creatore quanto piuttosto dagli degli angeli degenerati che non conoscevano la natura del loro stesso creatore. Il battesimo, in questo quadro apocalittico, aveva lo scopo di far riacquistare l' immortalità agli uomini negata da questi angeli. Contemporanei ai seguaci di Gesù di Nazareth, anche i seguaci di Simone Mago attribuivano al loro "maestro" delle qualità divine, incarnando egli stesso la potenza di Dio discesa sulla terra per ristabilire l'ordine.
Così l'apologeta cristiano Giustino di Nablus riporta nella Prima apologia dei Cristiani (23, 3) queste credenze:
« Gli angeli governavano male il mondo perché ognuno voleva la supremazia, perciò egli venne per stabilire le cose in ordine. Discese trasfigurato, fattosi simile alle virtù, alle potenze, e agli angeli, per poter apparire tra gli uomini come un uomo, sebbene egli non fosse un uomo; si è creduto che egli abbia patito in Giudea, mentre egli non ha patito »
Per l'Islām l'esistenza degli angeli (araboملاكmalāk, pl. ملا ئكةmalāʾika) è un atto di fede e chi nega la loro esistenza è considerato un "infedele".
Gli angeli, infiniti di numero, hanno il compito di servire Allāh, di cui sostengono il trono e di cui cantano le lodi e le adorazioni; creati prima dell'uomo, sono fatti di luce e hanno anche la missione di condurre gli uomini a Dio secondo la sua volontà, avendo anche il compito di registrare le azioni umane che saranno soppesate, quando, loro stessi e su comando divino, suoneranno la tromba del Giudizio finale.Il Corano distingue altre due specie di esseri spirituali con funzioni e caratteristiche diverse dagli angeli: i jinn (جني, simili ai "geni" della tradizione europea) e i diavoli ( إبليس; anche shayāṭīn شياطين). A differenza degli angeli che hanno natura di "luce", i jinn e gli shayāṭīn hanno sostanza di fuoco. 
Tali esseri spirituali si differenziano inoltre per l'atteggiamento nei confronti dell'uomo: gli angeli del Corano non differiscono da quelli menzionati nei testi dell'Ebraismo e del Cristianesimo, mentre i jinn hanno una funzione ambigua, dividendosi in un gruppo (maggioritario) più o meno nettamente ostile all'uomo e in un gruppo (minoritario) a lui benevolo, capace di proteggere luoghi e persone.
Tra questi ultimi si ricordano i qarīn ( قرين ), due esseri invisibili - uno miscredente e uno credente - che agiscono da "spiriti custodi" (Muhammad si dice avesse convertito il suo che era miscredente, rendendolo anch'esso spirito positivo) . Caratteristica infatti dei jinn è di poter essere musulmani (e quindi benevoli) o non musulmani (e quindi ostili all'uomo).